I fiori a primavera, il cielo azzurro, i bambini che corrono sulla spiaggia…

“Il rischio reale è quello di precipitare nella depressione e della disperazione, è il pericolo di perdere la speranza nel progetto umano. E’ da questo sconforto che l’arte, più di qualsiasi altra cosa, è adatta a guarirci. I fiori a primavera, il cielo azzurro, i bambini che corrono sulla spiaggia…sono rappresentazioni visive della speranza” ( Alain de Botton)

Europei, brava gente?

Guardando le immagini degli sgomberi di eritrei, etiopi e somali che in queste ore stanno avvenendo a Ventimiglia, mi tornano in mente le pagine di alcuni libri di Angelo Del Boca. Me li regalò mio padre al diciottesimo anno d’età. Voleva fossi matura per conoscere la verità sul colonialismo italiano che i miei insegnanti, negli anni delle superiori, non mi avevano mai raccontato. Il disagio che quelle letture mi avevano provocato mi lacerava dentro. Il mio paese di nascita e crescita aveva compiuto delle azioni efferate contro i mie bisnonni e trisnonni. Con Del Boca ho scoperto il significato di iprite e di fosgene e quello che provocavano agli esseri umani. Ai miei bisnonni e trisnonni.

Ma come? Non eravamo stati il colonialismo più aperto, illuminato, buono? Assolutamente no, e per scoprirlo mi sono dovuta affidare alla mia iniziativa personale, anzi di mio padre, e non a quel sistema scolastico che avrebbe dovuto darmi tutti gli elementi per costruirmi un’idea della mia storia. Questo nascondere il passato consegna i suoi frutti nel presente.

Un’Italia e un’ Europa a corto di memoria che nei confronti del continente africano hanno un debito che non si cancellerà mai e che oggi chi approda sulle nostre coste chiede di saldare in termini di diritto ad un futuro migliore.

E’ la Storia, quella che abbiamo cercato di dimenticare, che bussa alla nostra porta e non saranno le manganellate o i respingimenti a fermare il suo corso.

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La mia Eritrea

Come per tutti i figli della diaspora, il racconto ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale per ricostruire le mie origini. Non potendo vivere la terra dei miei genitori, perché dilaniata da una guerra trentennale, l’ascolto delle loro storie mi dava l’illusione di conoscere, di conoscermi. La persona incaricata della narrazione era mia madre. Uno perché ha una memoria di ferro, e due perché riesce sempre ad entrare nei dettagli con una precisione invidiabile.

Attraverso i suoi racconti ho potuto conoscere i miei nonni, i miei zii, i miei cugini. Erano tutti vivi, dall’altra parte del mondo, ma non li potevo incontrare. Ho potuto conoscere i luoghi: Asmara, Massawa, le isole Dahlak, Keren, Decamare ecc. E così ogni sera un pezzettino di storia, un pezzettino di me.

Ne veniva fuori il quadro di un paese vivo, fatto di persone con una grande cultura e una chiara percezione del proprio valore. Un popolo, quello eritreo, che ha saputo lottare per potersi chiamare Eritrea. Un popolo forte, testardo, fiero. Un popolo che ha tanto creduto ma che ad un certo punto ha ceduto.

Vedere le immagini degli sbarchi, degli eritrei stremati da anni di viaggio arrivare sulle nostre coste e ritrovarli qui a Milano ancora più distrutti mi crea un malessere a volte ingestibile che spesso si trasforma in rabbia.

Vorrei chiudere gli occhi e ricordarmi gli eritrei e l’Eritrea così come me li raccontava mia madre. Ma anche mia madre ha smesso di raccontare e io di sognare la mia Eritrea.

Grazie Lorenzo Jovanotti Cherubini

Jovanotti sostenitore dello sfruttamento lavorativo o Jovanotti paladino del volontariato? Dopo la sua sparata all’Università di Firenze si è scatenato il putiferio intorno a lui. Chi contro, chi a favore.

La dichiarazione di Lorenzo Cherubini ha impegnato tantissimi blogger, giornalisti, opinionisti. Ha di fatto riempito una giornata di contenuti, di punti di vista, di battibecchi tra chi la pensava in un modo e chi in un altro. E’ quello che accade ormai quotidianamente. Qualche personaggio noto la spara grossa e si attiva subito, già qualche secondo dopo la dichiarazione, un profluvio di commenti che spesso guadagna le prime pagine dei principali quotidiani.

Siamo diventati bravissimi a commentare il superfluo, l’infelice uscita di qualcuno che di solito poi si spiega meglio e dice quello che veramente intendeva che di solito è il contrario di quello che tutti hanno capito.

Si è ormai innescata un’ abitudine alle sparate e ai commenti connessi che in molti la mattina cercano con bramosia quale sarà l’argomento di cui parlare/sparlare.

Pensando a tutto questo mi sono detta che sto Jovanotti in fondo lo dovremmo ringraziare. Con grande generosità ci ha donato anche quest’oggi il nostro dibattito quotidiano. Perché in alternativa, di cosa avremmo potuto parlare?

Anzi, senza Jovanotti questo post non sarebbe mai stato scritto.

Quindi diciamoglielo tutti insieme “Grazie!”

Grazie Lorenzo Jovanotti Cherubini.

Una bella Milano

Ricordo che quando mi trasferii a Milano, ho perso il conto degli anni, mi colpì fin da subito un fenomeno alquanto strano. Allo scattare del venerdì in tutta la città si attivava una sorta di piano di evacuazione collettivo. Le aule universitarie e gli uffici superavano la loro capienza massima dovendo contenere un numero spropositato di trolley e borsoni pronti per la partenza. Le vie di fughe dalla città erano principalmente due: 1) mare, di solito la Liguria 2) montagna, qui Bormio la vinceva su tutte. Per anni non ho osato chiedere dove diavolo si trovasse Bormio, ma avevo capito che era un posto abbastanza “cool”.

Mi stupiva sempre questo fuggi fuggi generale. Non ricordo una dinamica simile a Bologna. Lì il venerdì era semplicemente l’ultimo giorno lavorativo della settimana oppure, a seconda dei punti di vista, il primo giorno festivo della settimana.

Nei miei primi anni da milanese io, a differenza della maggioranza, non avevo dove fuggire. In realtà non ho mai voluto farlo. In questi ultimi mesi ho però come l’impressione che qualcosa sia cambiato.

Manuel Ferreira, un amico e un bravissimo attore ed autore teatrale, tempo fa mise in piedi uno spettacolo molto divertente in cui raccontava Milano come di una donna che un po’ se la tira e che la sua bellezza, a differenza di altre città, la nasconde e la dona solo a chi ha la pazienza e la voglia di scoprirla.

Ecco, in questo ultimo periodo è come se Milano avesse deciso di cambiare, indossando il suo vestito migliore per farsi ammirare in tutto il suo splendore. Una nuova pelle attraverso la quale dire a chi la vive e la attraversa: “Resta qui con me. Godiamoci!”.

E’ un pò di tempo che il venerdì non vedo più trolley o borsoni, sostituiti dalla voglia di passare il weekend in una città che così viva non è mai stata.

Una bella città. Una bella Milano.

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